Libri sull’ADHD

Ho deciso di fare un elenco, che aggiornerò nel tempo, dei libri sull’ADHD e in generale sulle disabilità che ho letto e trovato utili. Spero possano essere d’aiuto anche ad altre persone.

Martin L. Kutscher, Mio figlio è senza freni

Questo è stato il primo libro teorico sull’ADHD che ho letto. Il mio Kobo mi dice che l’ho comprato ad aprile 2020, quindi pochi giorni dopo aver ricevuto la diagnosi di Alessandro. Mi ha aperto un mondo, con spiegazioni chiare ma accurate, grazie alle quali per la prima volta ho iniziato a inquadrare questo lato di mio figlio.

Sfogliando oggi le sottolineature che ho fatto allora, ho trovato delle cose interessanti.

Intanto, quella che probabilmente è stata la mia prima presa di coscienza di trovarmi di fronte a una disabilità:

Forse è paradossale ma pensare che il proprio figlio abbia una disabilità aiuta a mantenere un atteggiamento positivo. Se pretendi che non ci sia alcuna disabilità sul piano dell’autocontrollo, allora concluderai probabilmente che tuo figlio ti disubbidisce di proposito. Se ti ostini a pensare che tuo figlio non abbia difficoltà di previsione e di organizzazione, allora concluderai che sceglie semplicemente di infischiarsene. (Capitolo 2)

In questo libro ho poi trovato un concetto che mi ha colpito nel profondo e che cerco sempre di ripetere a me stessa quando sento che non sto facendo un buon lavoro: si tratta del “conto relazionale”, ovvero pensare che essere un genitore è come avere un conto in banca che a volte cresce, altre diminuisce. Non occorre che sia sempre in crescita, basta che sia sempre in attivo. Leggete qua:

Può essere utile pensare di avere un conto bancario delle esperienze con il bambino: ci sono momenti buoni e momenti cattivi che possono essere depositati nella tua relazione. Il tuo obiettivo è avere il bilancio complessivo in attivo. Ogni volta che ti accingi a interagire, chiediti: «Il mio prossimo commento/atto contribuirà a portare il mio conto bancario con mio figlio in rosso o in attivo?». (Capitolo 2)

Il dottore ci sta dicendo che si può sempre rimediare a quell’urlo di troppo, all’insofferenza di un momento di stanchezza o alle crisi isteriche (io ne ho spesso). Per nessuno è facile avere a che fare con dei bambini, ma un bambino con ADHD riesce a sfrucugliare nel mucchio delle tue frustrazioni finché non trova il tasto dolente, il nervo scoperto, quel dettaglio che di sicuro ti farà esplodere. E dopo ti sentirai davvero senza giustificazioni, a meno che non trasformi subito quel senso di fallimento in un segno “meno” del tuo conto relazionale a cui aggiungere qualche “più” per rimediare. E infatti, più avanti (capitolo 7) ho sottolineato questo passaggio: “Il dottor Barkley (2000) incita i suoi lettori a perdonarsi ogni notte per non essere stati capaci di essere perfetti. Ogni notte ripensa a come hai agito quel giorno e a come potresti fare meglio.”

Sembra che, allora come oggi, avessi bisogno di perdonare me stessa oltre che di capire mio figlio!

Daniele Fedeli, Mio figlio non riesce a stare fermo

Libro utilissimo, chiaro, pieno di esempi semplici e immediatamente comprensibili. Penso che sia il primo libro che ogni persona che approccia per la prima volta al problema dell’ADHD dovrebbe leggere. Con questo volume ho finalmente capito cosa sono le “funzioni esecutive” del cervello, in che senso l’ADHD non è un deficit di abilità ma di controllo (frase con cui mi dovrei ricordare di rispondere a tutti quelli che mi dicono “eppure è così intelligente!”), perché non è vero che se un bambino viene ipnotizzato da videogiochi e tv non può essere iperattivo (spiegazione che dovrei dare a tutti quelli che mi dicono “però davanti ai cartoni sta così buono!”), come funziona l’attenzione e perché l’iperattività è collegata alla bassa tolleranza verso le frustrazioni (che si traduce in irascibilità o scoppi d’ira intensi oltre ogni immaginazione).

Oltre alla teoria, il libro di Daniele Fedeli è ricco, ricchissimo di consigli educativi: cosa dire in determinate circostanze, cosa non fare, come prevenire un problema.

Purtroppo non esiste un manuale di istruzioni per chi ha a che fare con un bambino con una neuro-diversità, perché al di là delle buone pratiche c’è la psiche profonda di ciascun individuo. E con “individuo” intendo il bambino, con la sua personalità e con le esperienze che gli capitano ogni giorno, ma intendo anche il genitore, che affronta questa sfida con la soggettività che gli è propria.

Tuttavia, avere dei punti di riferimento teorici – e questo libro ne è uno – può almeno indirizzare e orientare, soprattutto per chi – come me – ha bisogno di comprendere razionalmente le cose per poterci arrivare anche con il cuore.

Flavio Fogarolo e Giancarlo Onger, Inclusione scolastica: domande e risposte

Ecco, questo per me è un testo sacro. Lo sfoglio prima di ogni GLO (incontro scolastico ufficiale tra genitori, insegnanti di sostegno, insegnanti di cattedra, dirigente scolastico e psicoterapeuti del bambino con “bisogni educativi speciali”), di ogni incontro ufficioso con gli insegnanti, oppure quando so che a scuola è successo o sta per succedere qualcosa che mi costringerà a rivendicare un diritto o a compiere un dovere. Tanto per dirne una: sono obbligata ad andare a prendere mio figlio quando diventa ingestibile? La verità è che io l’ho sempre fatto, il primo anno di scuola materna l’ho fatto TUTTI I GIORNI (nessuno escluso) , ma adesso lo faccio per mio figlio, per alleggerire la sua giornata e rendere più semplice la sua vita già abbastanza incasinata. Quando invece non conoscevo i nostri diritti, lo facevo perché pensavo che fossi obbligata, perché ero terrorizzata visto che quella maestra “indimenticabile” mi chiamava dicendomi di avere il dovere di difendere gli altri bambini dagli attacchi di mio figlio, a quanto pare un treenne incontenibile. Ci sono tante persone volenterose nella scuola e non voglio né posso generalizzare, ma si fa anche tanto terrorismo, a cui spesso basta rispondere con il buon senso che deriva dal conoscere meglio degli altri le regole. Perché io sono ossessionata dal rispetto degli altri e delle regole, ma voglio che lo stesso sia fatto con mio figlio, e purtroppo le cose hanno iniziato a girare meglio solo quando io ho iniziato a girare con questo libro. E aggiungo che ho la sensazione che un genitore informato possa essere una valida spalla anche per gli insegnanti, che a loro volta sono spesso lasciati soli con il “problema” in classe, senza aiuto dai piani alti. La squadra e la rete funzionano sempre meglio dei singoli tori scatenati.

Tra l’altro esiste anche un gruppo facebook coordinato dal Prof. Fogarolo: credo che l’iscrizione per chi vive queste situazioni, sia da genitore che da insegnante, sia quasi d’obbligo.

Russel A. Barkley, ADHD: strumenti e strategie per la gestione in classe

A proposito di insegnanti, io questo libro l’ho letto e regalato con vero piacere a una delle maestre di sostegno di Alessandro. Per un genitore, torna utile la semplicità di alcune spiegazioni su cosa sia l’ADHD e come funzioni questo disturbo. Per un insegnante, ci sono tantissime strategie utili per gestire al meglio in classe un bambino o ragazzo con queste difficoltà. In effetti, penso che avere un bambino ADHD tra i propri allievi sia una vera sfida. Quando poi si aggiungono anche DOP (disturbo oppositivo provocatorio), disturbo di condotta, sindrome di Tourette, stati d’ansia, dislessia, disgrafia (tutti disturbi che spesso vanno a braccetto con l’ADHD, Alessandro ad esempio ha il DOP), lavorare è difficile, sfibrante, non sempre si ottengono i risultati sperati.

Come si può sentire un insegnante? Immagino che il carico di stress che provo io, da genitore, sia simile a quello di un insegnante. E immagino che per un insegnante sentirsi chiamare “cacca di maestra” davanti a tutti i colleghi sia umiliante, perché in pochi conoscono l’ADHD e tutti penseranno che tu non sia riuscito a educare l’alunno, così come gli altri genitori pensano di me che io non sia riuscita a educare mio figlio.

Anche qui, l’arma è la conoscenza, perché con questo tipo di disabilità l’amore e l’empatia non bastano. Sono certamente importanti (Alessandro si affida moltissimo alle persone che dimostrano di amarlo), ma quando arriva la crisi, o per evitare che arrivi, occorrono conoscenza del disturbo e strategie comprovate.

Con l’ADHD l’approccio terapeutico ideale è infatti triplice: deve lavorare il bambino (con la terapia cognitivo comportamentale, per lo più), deve lavorare il genitore (con il parent training) e dovrebbero lavorare gli insegnanti con il teacher training. Ho scritto “dovrebbero” perché purtroppo tutto questo è lasciato alla buona volontà dei singoli maestri, quando invece penso che sarebbe d’obbligo mettere accanto a bambini disabili degli insegnanti in grado di trattare la loro specifica disabilità. In fondo, nessuno affiancherebbe a un bambino sulla sedia a rotelle un insegnante di sostegno senza braccia. Non ho ancora capito perché non si applichi lo stesso principio con bambini con disturbi “invisibili” e non solo fisici.

Claudio Vio e Maria Stella Spagnoletti, Parent Training

In realtà questo è un libro per gli operatori che si occupano di parent training, tuttavia ne ho letto metà (non mi sono addentrata negli aspetti troppo tecnici) e ho trovato molto utili le spiegazioni sull’ADHD e sull’efficacia del trattamento anche in età prescolare.

Una maestra della scuola dell’infanzia mi disse una volta che le sembrava molto strano che Alessandro fosse stato diagnosticato ADHD, visto che, a detta sua, questo tipo di diagnosi sarebbe stata tipica dei bambini più grandi.

In realtà con dei test specifici è oggi possibile individuare i casi sospetti molto prima dei 6-7 anni, ottenendo una diagnosi tempestiva e iniziando subito a fare delle terapie riabilitative. Prima si comincia e meglio è, sia con la terapia sul bambino che con il parent training per noi genitori.

Gianluca Daffi, Meno castighi, più ricompense

Un libro molto carino con delle attività da fare insieme per mettere a fuoco i punti di forza del bambino, togliendo attenzione ai difetti allo scopo di evitare che il bambino sia sempre identificato con il suo “problema”.

Alessandro è molto scaltro e ha capito subito che si trattava di un libro “terapeutico”, così lo ha guardato con sospetto e ha evitato di dargli troppa importanza. Inoltre è forse ancora piccolo per poterlo apprezzare, ma tra un anno, quando la terapia cognitivo comportamentale andrà a regime, glielo proporremo di nuovo.

Russell A. Barkley, Christine M. Benton, Mio figlio è impossibile

L’ho comprato ma non ancora letto, per cui mi limito a inserirlo nell’elenco. Del resto ho appena saputo che Alessandro non solo è ADHD, ma ha anche il DOP, Disturbo Oppositivo Provocatorio, per cui potrà essere molto utile.

Mario Di Pietro e Monica Dacomo, Largo arrivo io!

Un manuale leggero, semplice, con spiegazioni e consigli chiari per i genitori ma soprattutto per i ragazzi.

Mi chiedo spesso cosa dirò ad Alessandro quando gli racconterò che in lui c’è anche questa cosa che si chiama ADHD. Non che non abbia già adesso consapevolezza di sé, sa benissimo che il suo cervello è differente, sa che le sue arrabbiature non sono sempre volontarie e controllabili e sa che va da alcune dottoresse a “giocare” (ma lui dice, con molta più sincerità e apertura mentale di noi, che ci va per “imparare a gestire la rabbia”). Tuttavia, sta per arrivare il giorno in cui inizierà a farci domande molto più strutturate, magari perché si accorgerà che il suo rendimento scolastico è in qualche modo legato a questo calderone, e che accanto a lui c’è un insegnante che gli altri bambini non hanno. Le spiegazioni saranno necessarie e allora tirerò di nuovo fuori questo volume, dove gli autori si rivolgono con franchezza ai bambini ADHD, svelando dei semplici trucchetti per organizzare il tempo, mettere le cose da fare in un ordine di priorità, e anche catalogare i propri stati d’animo in modo da ridurre non solo il caos esteriore, ma anche quello interiore.

Andrea Dondi, Siblings. Crescere fratelli e sorelle di bambini con disabilità

Flavio, il mio secondogenito, sta crescendo e insieme a lui aumentano i suoi bisogni. Inoltre mi accorgo che, da un lato, tende a emulare a casa e fuori i “comportamenti problema” del fratello, dall’altro vive con terrore le crisi di Alessandro.

Mi sento molto inadeguata e impreparata ad affrontare questa situazione, anche perché sono la prima a venire investita ogni volta dal carico di emozioni negative che una crisi porta con sé. Ci sto lavorando, punto alla calma zen, ma oggi ne sono ben lontana e Flavio ne risente.

Allora mi sono detta che devo fare un lavoro anche su di lui, in modo che non cresca da solo e che un domani la difficoltà oggettiva in cui si è trovato senza averlo chiesto si trasformi in una sua risorsa. Una risorsa che non sia la rabbia di chi ce l’ha dovuta fare per forza di cose, ma la consapevolezza di chi sa come gestire e affrontare gli ostacoli che ti piombano davanti anche se non te li meriteresti.

Questo libro l’ho appena iniziato, ma l’incipit è interessante: parla di come focalizzarsi sul “sibling” (fratello del portatore di disabilità) possa regalare un punto di vista inedito e arricchente, perché:

ci consente di non rimanere concentrati solo sul “problema”, adottando un approccio centrato sulla famiglia nell’ottica della Family Centered Care (FCC).

E ancora:

Occuparsi di siblings indica la volontà di ampliare lo sguardo, non concentrandoci in modo prevalente sulle caratteristiche specifiche della disabilità e sui deficit, ma valorizzando le potenzialità e le risorse intrinseche in ogni famiglia, anche quando risultano poco evidenti o addirittura represse.

Ma dirò qualcosa di più quando avrò finito di leggere il libro.

I libri della compassione

Oltre ai libri teorici sull’ADHD, sono alla continua ricerca di libri scritti da altri genitori che vivono situazioni simili alla mia. Li chiamo “I libri della compassione” perché dentro ci rivedo la nostra storia, e dunque la partecipazione emotiva – cum patior (soffrire con) – è davvero forte.

Massimiliano Verga, Un gettone di libertà

Mi ha colpito di questo libro la rabbia. Rabbia non distruttiva o autoreferenziale, ma rabbia sincera e senza volontà di dissimulare. Rabbia che non significa odio verso gli altri (anzi!), né voglia di distruggere tutto e punto.

Rabbia perché come ti vuoi sentire quando vedi che tuo figlio ha dei problemi che tu non potrai mai alleggerire o risolvere, e che non passeranno mai, neppure quando sarà adulto e neppure quando il genitore non ci sarà più?

se impari a usarlo, lo strumento della rabbia non è poi così inutile. Ti aiuta. Ti rende lucido, anche se può sembrare un paradosso. Non è che sei incavolato con qualcuno o con qualcosa in particolare. Sei arrabbiato e basta. Ma quella rabbia ti restituisce la forza che credevi di avere perso. La forza per provarci, ogni giorno. La rabbia non è negativa di per sé. Certo, forse vivi meglio se non ce l’hai. La gastrite e il mal di testa non sono compagni simpatici. Ma un uomo arrabbiato non è per definizione peggiore di altri. Non per dire che io sono il migliore. Figuriamoci! Per dire che alla pari di tanti altri, appunto, ci provo. Qualche volta indovino, molte altre sbaglio. Come tutti. Senza troppi ricami: se nel mio zaino ho lasciato la rabbia è perché ho fatto presto i conti con il compromesso e con l’idea che non ne posso prescindere. Troppo presto, per i miei gusti. Perché rinunciare a trent’anni a un pezzo di futuro (o comunque all’idea che ti sei fatto del futuro) mi pare un buon motivo per essere arrabbiati. Ma non posso nemmeno passare il mio tempo a riempire e svuotare valigie. E quell’idea di futuro vorrei provare a trattenerla. Con ciò che ho, che mi saprò inventare o che qualcuno vorrà regalarmi. Di quell’idea vorrei provare a trattenerne almeno un pezzetto. Con la dose abbondante di rabbia che lo specchio mi riflette addosso e con le mani libere da inutili valigie. Perché con le mani finalmente libere, puoi tirare tutti i pugni che vuoi, certo. Ma puoi anche accarezzare, stropicciare, pizzicare. E perché no? Puoi anche tenerle in tasca, quelle mani. Quando hai bisogno di tirare il fiato o scopri il piacere di coltivare la pigrizia. Perché soltanto così puoi offrirle a chi le cerca per continuare il viaggio con te. Mettendo pure in conto un bel vaffanculo quando capita o ci vuole.

Chiara Garbarino, La felicità non sta mai ferma

Il racconto bellissimo di una mamma e di suo figlio con l’ADHD. L’ho letto prima di sapere che anche mio figlio è iperattivo, ma dal momento in cui l’ho letto io ho capito che era così. Per la prima volta ho aperto una finestra su un mondo a cui non avevo ancora dato nessun nome, ma in cui inevitabilmente stavo già vivendo. E mi sono sentita meno sola, tanto che poi ho scritto all’autrice, che mi ha risposto.

Gianluca Nicoletti, Una notte ho sognato che parlavi

Il motivo per cui ho letto questo libro, racconto di un padre su suo figlio autistico, è particolare.

Ero in macchina e mi dirigevo verso il lavoro dopo aver lasciato i figli a scuola. Ogni volta che lasciavo Alessandro, partivo con un enorme magone in gola perché non sapevo cosa sarebbe potuto accadere, oppure perché mi sorbivo una sua scenata all’ingresso e io, all’epoca, non sapevo ancora come comportarmi. In parte è ancora oggi così, ma alcuni spigoli troppo dolorosi li stiamo smussando, oppure non mi fanno più così male quando ci sbatto contro il mignolo del piede.

Comunque.

Ero in macchina e ascoltavo “Melog”, trasmissione su Radio24 di Gianluca Nicoletti. Quella volta si parlava di disabilità e lui iniziò a raccontare le difficoltà, come padre, che comportava avere un figlio disabile. Cose molto piccole, che per un genitore diventano enormi perché compromettono la quotidianità. Per dirne una: non puoi più uscire con gli amici a meno che non siano loro ad adattarsi a te, così poco a poco ognuno va per la propria strada finché resti solo. Ascoltavo queste parole e, sebbene non sapessi ancora dell’ADHD di Alessandro, mi rispecchiavo completamente in tutto ciò che veniva pronunciato.

Non ho mai dimenticato quella puntata, poi a distanza di mesi ho capito anche il motivo. Ecco allora che mi sono interessata a questo giornalista e ho scoperto che ha un figlio autistico a cui ha dedicato libri, un podcast e un film, oltre che innumerevoli iniziative sul territorio.

Sarà sempre il destino, o magari queste sono cose su cui mi fisso io e che invece succedono solo per caso, ma il giorno dopo aver finito il libro siamo stati in ospedale e una dottoressa ci ha detto che sospetta che Alessandro si trovi nello spettro autistico.

In effetti sono state innumerevoli, durante la lettura del libro, le somiglianze che ho riscontrato tra i comportamenti del protagonista e quelli di mio figlio. Infatti poco prima della visita avevo scritto a una mia amica queste parole:

“Domani abbiamo l’ultimo day hospital. Ma se esce un autismo lieve?

Alba Marcoli, La rabbia delle mamme

Concludo con un libro che ho letto molto, moltissimo tempo prima di sapere dell’ADHD di Alessandro. L’ho letto quando lui aveva solo 3 anni e io mi sentivo persa perché non trovavo nessuna risposta ai comportamenti che metteva in atto.

Sono passati miliardi di litri di acqua sotto ai ponti e nemmeno mi riconosco più nella ragazza che comprò e lesse questo libro, tanto che ho difficoltà a ricordare con esattezza cosa ci fosse scritto.

Ricordo però con estrema chiarezza la sensazione di sollievo che provai leggendolo. Fu una carezza nel cuore di una metaforica notte molto lunga, molto buia e molto tempestosa e credo che tutte le mamme arrivate allo sfinimento dovrebbero averne una copia per capire che non ci sono colpe, non ci sono meriti, ci sono solo periodi difficili che vanno affrontati senza darsi voti o tantomeno giudizi. Perché, come mi ha insegnato l’autrice, non ci sono buone o cattive madri, ma solo madri che fanno per i loro figli tutto ciò che è nelle loro possibilità o potenzialità. Se ci si perdona, si cambia punto di vista, si passa dal dire “avrò questo problema per sempre” a “oggi ho questo problema ma non durerà per sempre”, dal dire “non sono in grado” a “in questo momento non sono abbastanza forte per gestire tutto ciò”, si stempera la frustrazione e si impara a stare anche nelle situazioni più pesanti:

La «capacità negativa», il riuscire ad attraversare questi momenti di disorientamento e confusione standoci dentro con tutte le emozioni faticose che inevitabilmente si provano, ma senza scapparne, e senza aggredire né se stessi né gli altri, è forse uno dei doni più preziosi che possiamo ricevere e dare. (capitolo 3)

Non ho avuto risposta alle mie domande, non ho capito in quel libro perché Alessandro era così o faceva questo o quello. Ma in una fase della mia vita in cui camminavo su un ponte tibetano assai instabile e pericoloso, ho trovato una voce che è riuscita a dirmi che, in qualche modo, ce l’avrei fatta e che non dovevo sentirmi persa.

L’ho attraversato quel ponte? Sì, per poi trovarne tanti altri davanti a me, insieme a macigni, strade diroccate, dighe crollate e fossati, ma anche – ogni tanto – un pascolo rigoglioso o un torrente placido. Oggi per me la sfida non è più saltare l’ostacolo senza paura, ma riuscire a godere dei rari momenti di bellezza che capitano ogni tanto sulla via. Goderne pur sapendo che, poco dopo, troverò altre caverne perigliose, e nonostante questo assaporarli e sentirmi fortunata per un breve momento di felicità, seppur privo di prospettive o attese. Ma se devo essere onesta, io su questo ci sto ancora lavorando.

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