Paura, fallimento, impotenza, speranza

Alessandro ha paura delle punture e stamattina aveva le analisi del sangue. Abbiamo cercato di prepararlo al meglio nelle ultime settimane ma non è servito, Alessandro oggi non è riuscito ad affrontare la sua paura. Lui stesso si era preparato una “strategia” (così la chiamava) per la missione analisi, diceva che avrebbe guardato il tablet e offerto il braccio ai dottori e sarebbe riuscito ad affrontare la sua paura, ma non è andata così.

È andata che è rimasto tranquillo fino all’ingresso nella stanza dei prelievi, dove alla fine si è bloccato per iniziare a piangere, poi a urlare, poi a scappare, poi a parlare troppo, poi a sudare, e tutte queste cose tante volte in tanti ordini differenti.

Siamo andati a fare una lunga passeggiata e abbiamo fatto un salto al mercato lì vicino, dove al banco di fiducia ci ha salutati e incoraggiati l’affezionato Gabriele. Ma non è servito a nulla. Siamo quindi andati dal fioraio, a cui Alessandro ha raccontato di non essere lì perché ama o fiori, ma per calmarsi e poter fare il prelievo. Ma non è servito a nulla. Abbiamo persino comprato i cornetti ai dottori per stemperare la tensione e fare amicizia, ma nulla.

Una volta tornati nella sala prelievi, è ricominciato tutto da capo.

Non esagero, una ventina di persone ha provato con metodi differenti a convincerlo o rassicurarlo. Una vecchietta l’ha chiamato “bello di nonna” afferrandolo prima che lui si catapultasse in fuga per le scale. Una signora si è inginocchiata e l’ha guardato negli occhi dicendogli che anche lei aveva paura ma che sarebbero entrati insieme tenendosi per mano, se lui avesse voluto. Più donne gli hanno offerto la compagnia dei propri figli in sala prelievi, i bambini erano tutti d’accordo. Molte vecchiette e vecchietti l’hanno incoraggiato con “non è niente”, “ma tu sei coraggioso” e tante altre frasi che potete certamente immaginare.

Dopo due ore alla ASL, ho giocato la carta nonna e ho chiesto a mamma di raggiungerci. Si è catapultata: in quindici minuti, col fiatone, era da noi, la guardia giurata dietro di lei per vedere chi fosse quel ragazzino le cui urla si sentivano fino alla guardiola al piano terra.

I dottori e gli infermieri sono passati dall’insofferenza iniziale ad una sollecitudine maggiore. Poi si sono di nuovo stancati di noi e mi hanno detto che avrei dovuto portare il bambino in un ospedale pediatrico. Poi hanno iniziato di nuovo a provarci anche loro, con tutti i metodi possibili, ma non c’è stato verso. Quando mi sono arresa e ho rimesso la giacca ad Alessandro, anche per questi medici era finito il turno e si sono fermati a parlare con me. Mi hanno detto che avrei potuto provare al Bambino Gesù, ma lì – ho replicato io – non c’è possibilità di prenotare e per Alessandro le attese sono, in alcuni casi, impossibili da sostenere. In che senso, mi hanno chiesto. Allora ho spiegato dell’ADHD e del resto, e loro forse a quel punto hanno capito davvero che cosa stessimo vivendo io e Ale. Penso che fino a quel momento non ci avessero davvero “visti”. Si sono fermati tutti a ragionare e mi hanno proposto di organizzare un prelievo in un’altra stanza, magari con la presenza della neuropsichiatra a supporto di tutta l’operazione. Non so se faremo così, in settimana tenterò prima la strada del Bambino Gesù, poi vedremo.

Nel frattempo, cerco di dare un senso a questa giornata.

Il primo sentimento che penso di aver provato è un fortissimo senso di impotenza, che mi ha ricordato i tempi in cui “subivo” le crisi di Alessandro senza riuscire a guidarle, né a prevenirle. L’unica differenza è che questa volta non provavo nessuna vergogna, sebbene gli occhi di tutti fossero puntati su di me. La mancanza di vergogna mi ha aiutato a mantenere i nervi saldi per due ore e mezzo e forse ha aiutato Alessandro a contenere la sua paura, evitando che trascendesse in vera crisi di rabbia.

Ma a fargli fare il prelievo non ci sono riuscita comunque, perciò ora provo un forte senso di fallimento. Ero davvero convinta che saremmo riusciti a portare a casa il risultato. Soprattutto lo speravo, perché Alessandro ha passato tutta la settimana ricadendo in comportamenti bizzarri, in particolare a scuola. Martedì scorso ha trascorso la mattinata sdraiato a terra tra i banchi, per dirne una. E oggi, dopo questa esperienza, è ricomparso il tic che aveva fatto la sua prima apparizione proprio in un’occasione simile e che ultimamente sembrava essere quasi andato via.

Non essendo riuscita a offrire a mio figlio delle strategie funzionali, mi è venuto da ripensare alle parole della sua psicologa: “I comportamenti di Alessandro cambieranno nel tempo e vi porranno davanti sempre nuove sfide, anche quando avrete la sensazione di poter ormai fronteggiare tutto.”

E così è stato, è arrivato il comportamento imprevisto a cui non ho saputo dare una risposta.

Ma.

Per fortuna c’è anche un “ma” in questa storia.

Sebbene Ale si sia paralizzato davanti alla sua fobia, non ha avuto una vera e propria crisi di rabbia, di quelle con schiuma alla bocca e parolacce urlate ai quattro venti. Anzi, devo dire che la sua paura l’ha manifestata in modo molto forte ma anche molto preciso, senza farsi inquinare da altri sentimenti e soprattutto senza mai perdere la lucidità. A parte brevi momenti in cui non riusciva più a guardare negli occhi nessuno, è rimasto sempre presente a se stesso. Quindi, tutto sommato, lo considero un passo avanti rispetto a quelle crisi disumane, sfibranti, che solitamente lo percuotono come bastonate lasciandolo intontito anche per giorni.

Allora mi dico che forse l’ultimo sentimento che provo oggi è la speranza, perché vedo un suo percorso e anche un mio percorso. Non è affatto facile, si compone di tanti insuccessi e dubbi e a volte sembra davvero di camminare nella melma di un pantano, ma qualche passo ecco che lo abbiamo fatto anche noi.

E stasera avevo voglia di fissarlo qui, perché penso che questa giornata orrenda si meriti di finire così, con una vomitata sulla tastiera che mi lasci libera stanotte di sognare giorni più semplici.

2 pensieri riguardo “Paura, fallimento, impotenza, speranza”

  1. ADHD una sigla che copre tante diversità e che trovo spesso a scuola. Mi sembra che hai una forte consapevolezza e ormai riesci a vedere lui e basta. Certamente hai trovato persone che volevano aiutare, quelle meno colte. I medici spesso guardano solo l’organo malato. Non ho consigli ma lo scritto mi è stato utile. Grazie

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    1. Si impara a filtrare solo ciò che è davvero importante. Proprio per questo si impara ad apprezzare anche un tentativo di aiuto da parte di chi, pur non avendo conoscenza del problema, prova a dare una mano senza giudicare! Grazie del tuo commento! ♥️

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