Come stai

Come sto. Me lo chiedono spesso le persone amiche. Come sto. Rispondo sempre “bene” ma a volte lo sguardo mi tradisce. A volte invece sto davvero bene.

Qualche mese fa ho avuto una specie di burnout, chiamiamolo crollo, dopo un incidente.

Come sto dopo questi eventi. Non ho ancora una risposta, molte cose stanno sfumando da sole, altre hanno bisogno di essere messe a fuoco e ci vorrà tempo.

Non sono fuori dal buco, ma vedo i contorni della mia piccola trasformazione. Più dura e pragmatica, forse più lucida, un po’ delusa da una fragilità che non sapevo di avere, ma più consapevole dei limiti. Sempre coriacea come la blatta, ma forse meno ostile. Un maggiolino, allora?

Come starò in futuro. Anche questo me lo chiedono spesso. La domanda successiva è “andrà meglio con tuo figlio negli anni?”. Dico sempre di sì, perché un po’ ci credo, ma anche perché non mi va di spiegare le cose ogni volta da capo. Mi sembra una domanda così insensata. Se lui fosse su una sedia a rotelle, per esempio, nessuno mi chiederebbe mai “pensi che un giorno potrà camminare?”.

La cecità di fronte alla malattia o alla diversità psichiatrica, che tutti vorremmo far passare, che tutti ci illudiamo possa passare solo con la buona volontà del paziente. Ma non è così.

Il cervello è plastico, si adatta. La psiche è resiliente, impara a sopravvivere, ok. Ma la diversità resta diversità, perché questo desiderio di normalizzare?

Sì, probabilmente le cose miglioreranno (grazie al lavoro di tutti noi, prima di tutto di Alessandro). Sì, certo che impareremo a convivere sempre meglio con alcune peculiarità o difficoltà, ma la nostra vita è questa e non cambierà. Continueremo a destreggiarci tra terapie, colloqui ordinari o d’urgenza, consulti, dubbi, spese. E avremo sconfitte e soddisfazioni, come tutti.

Io non voglio che questa mia vita cambi, io al contrario voglio imparare a stare comoda nella mia vita. Io la mia vita l’ho gia accettata, anzi mi piace da morire. Mi piace sapere che ho una sfida al giorno, che ci sono ostacoli da superare e che il premio e al tempo stesso la moneta di scambio non sono soldi o coppe dorate o carriera o targhe sul muro, ma amore. Mi piace che non sempre ci sia il premio ma che sempre ci sia un prezzo da pagare. Ormai adoro, anzi voglio che la mia vita sia diversa, atipica, che la mia famiglia sia costruita attorno a una nota discordante. Non c’è alcun bisogno che questo cambi, non ho bisogno di pensare che andrà meglio. Ma ho bisogno di imparare a stare bene anche il giorno in cui va tutto male.

Come sto. Ogni tanto male, grazie, ma va bene.

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