In estate ho avuto un brutto incidente e mi sono rotta la schiena. Letteralmente rotta la schiena.
Subito dopo l’infortunio ho avuto un immenso crollo emotivo, una cosa mai provata prima, mai. Un dolore sordo, ottuso e potente proveniente dalle zone più profonde della mia psiche. Era una voce a cui forse non avevo mai voluto dare ascolto. Un urlo baritonale che partiva dallo stomaco per salire fino alla gola, rimbalzare contro il palato e venir fuori come un richiamo primitivo, un impudico e scostumato e straziante lamento funebre.
Piangendo e urlando e prendendo coscienza del fatto che sì, muovevo ancora le gambe ma no, non stavo affatto bene, ho iniziato a ripetere questa frase: “Non mi posso bloccare. Io non mi posso bloccare”. E in quel momento di poca lucidità io non pensavo nè alla schiena nè a una possibile paralisi, io pensavo che il giorno dopo mi sarei dovuta assolutamente rimettere in macchina per portare i miei figli a scuola, andare a lavoro e soprattutto accompagnare Alessandro a fare le sue terapie. E così nei giorni successivi, e la settimana dopo ancora, e per sempre. E se io fossi stata assente, non ne avrebbero sofferto solo i figli, ma anche il mio compagno, che avrebbe dovuto fare altre cose al posto mio, oltre a fare già tutte le sue.
Io non mi posso bloccare. Non mi sarei mai potuta bloccare, anche perché giusto il giorno prima, proprio il giorno del mio compleanno, ci avevano detto su Alessandro che oltre all’adhd e al dop e alla plusdotazione c’era anche l’autismo. Un nuovo elemento con cui familiarizzare. Potevo bloccarmi proprio adesso? No. Eppure ero a terra, e prima ancora di venire a sapere di avere la schiena rotta, sapevo già di aver aperto una voragine, da qualche parte dentro di me.
Poi mi hanno messo un busto che ho portato due mesi. Ci sono state notti insonni con il mal di schiena, giornate estenuanti, un’estate che è passata con una lentezza crudele. Apparentemente sono riuscita a tenere in piedi la nostra routine, eppure quell’incidente è stato un punto di non ritorno. La ragione è che mi ha messo di fronte alla mia grande fragilità, un aspetto con cui avrei sperato di non dover mai fare i conti. Ma la fragilità esiste, e quanto più saremo stati bravi a costruire la nostra forza (o corazza), quanto più fragorosa dovrà essere la caduta che infine ci spezzerà. Perché la verità è che nessuno può illudersi di non essere fragile, corruttibile o soggetto alle fatalità. Nemmeno chi deve prendersi cura delle fragilità di qualcun altro. Nemmeno un caregiver. Anche se il fardello che portiamo è enorme ed è proprio lui, in fondo, ad averci reso così forti e resistenti, possiamo cadere ad un colpo di vento. Magari non al primo, magari nemmeno al secondo, ma prima o poi state certi che anche noi cadiamo.
Non ho ancora accettato la scoperta della mia fragilità. Oltre alle mie ossa, si è rotto quell’involucro in cui custodivo, o forse nascondevo, quella parte di me così insospettabile, delicata e vulnerabile. Potrei dire che ora sono più vicina a conoscermi, ma in realtà mi sento solo più lontana da quella che ero, quindi ancora senza una direzione futura e con un presente complicato. Però i punti di non ritorno sono quello che sono, ovvero punti di partenza. Una cosa di cui perciò sono certa è che è stata una partenza, anche se verso l’ignoto. Non sono fiera di come sto andando in questo viaggio. Sono una donna acciaccata che mette un piede dietro l’altro e che ormai si commuove per poco. So però che non mi sto opponendo al viaggio, dunque vado.
Dopo aver appreso dai medici della mia schiena rotta ho scritto una poesia. Si intitola Frida e la pubblico ora, a distanza di quasi 1 anno, perché ho avuto bisogno di meditare a lungo prima di espormi. Ma la poesia c’è e penso che sia un testo sincero, per cui la scrivo qui in attesa che quel ricordo si allontani fino a diventare solo uno dei tanti episodi che compongono la sinfonia di una vita.
FRIDA
Non si sono nemmeno avvicinati
a girare il dito nella piaga
tanto gli facevo schifo.
Sono devastata
schiena spezzata
Frida di periferia
Dea Khali che regge così tante cose
così tante cose
e il tronco è marcio.
Il tronco è marcio.
La colonna portante ha vacillato
il tetto è venuto giù.
Ero in una teca per insetti
esposta mentre piangevo
e tutti guardavano
compatendo la pazza, la strega esausta.
Guardatela, è lei che strilla!
Scrofa sgozzata!
Come uno scarafaggio
mi sono dimenata, poi girata
prima sulla pancia
infine sulle gambe
con lo scheletro e il cuore fatti a pezzi.
Pensavano piangessi per lo scheletro
invece celebravo la morte del cuore.