ADHD e insegnante di sostegno. Il nostro incontro speciale.

Quest’anno, prima elementare, abbiamo fatto un incontro con una persona speciale. Non scriverò il suo nome perché questo blog è un po’ anonimo, un po’ pubblico, mezzo privato, non si capisce. Io, per privacy, non farò nomi, tanto lei si riconoscerà nelle mie parole e saprà che sto parlando proprio di lei, la maestra ***.

In questi anni mi è capitato già altre volte di conoscere persone sopra le righe, educatori ed educatrici che ci hanno donato l’anima e che hanno e avranno sempre un posto speciale nel nostro cuore. Ma questa volta, con questa persona, Anno Scolastico 2021-22, è stato magico. Sarà anche che le aspettative erano molto basse: pensavamo che la prima elementare sarebbe stata una grande corsa a ostacoli, che Alessandro non sarebbe mai riuscito nemmeno a sedersi al banco. Credevamo che si sarebbe rifiutato di andare a scuola, o che avrebbe passato la maggior parte del tempo fuori dalla sua classe. Invece è partito bene, con i suoi ritmi (cioè ritmi troppo veloci), le rigidità, i suoi libri fantasy nello zaino al posto dei quaderni a righe, la scritta “rifiuti tossici” sulla copertina del quaderno di religione, i momenti critici, ok, eppure tutto bene, tutto sommato.

Ha avuto fasi difficili, a volte siamo corsi a prenderlo perché era esploso o stava per farlo, ha intimidito non pochi compagni con i suoi atteggiamenti, questo lo sappiamo. Ha anche passato molto tempo seduto a terra, si è rifiutato di svolgere alcune attività, ma con le sue orecchie sempre vigili ha afferrato ogni concetto e non è rimasto mai indietro, neppure di un singolo passo.

La classe, piano piano, l’ha accettato e lui ha accettato loro. I bambini sono favolosi, soprattutto quando i genitori riescono ad accompagnarli nel percorso di conoscenza del diverso.

Lui è passato dal dire “Gioco solo con un amichetto e mi stanno antipatici Tizio e Caio” al dire “Sono tutti amici miei”.

Che anno stancante e bello. E il merito va ad Alessandro, certamente, ma anche alla sua maestra di sostegno, ed è appunto di lei che vorrei scrivere. Una persona intelligente, perspicace, intuitiva, sincera, trasparente. Un’insegnante che si è sempre posta con umiltà nel suo ruolo, con l’intento di capire prima di agire.

Ha voluto conoscere Alessandro, per qualche settimana l’ha studiato con attenzione, costruendo nel tempo un rapporto speciale con lui. Poi, dopo averlo studiato, ha preso le redini del rapporto e l’ha fatto volare in alto, aiutandolo a integrarsi e anche a scolarizzarsi.

Ha sempre parlato con franchezza con me e Federico, senza lesinare informazioni, anzi abbondando di dettagli e spiegazioni, anche quando facevano male. Ha avuto un ottimo rapporto con la psicologa, ha accettato la sua guida. Ma soprattutto ha creato un legame meraviglioso con Alessandro, che lei ha sempre visto come un bambino da proteggere, persino quando lui ha dato il peggio di sé.

Alessandro ha questa doppia faccia: sfida il limite e l’autorità se pensa di subire un’ingiustizia ma ama con passione le persone autentiche e i buoni. Appena ha capito che la maestra era dalla sua parte in maniera profonda e vera, che non c’era un doppio fine, ne è stato conquistato.

Lui non ha difficoltà a chiamarla “il mio sostegno”. Ma avrà capito di cosa si tratta? Qualche volta mi sono spinta a chiedergli: “Ale, secondo te perché tu hai la maestra ***?” e lui mi ha sempre risposto “Perché mi aiuta”. L’ha vissuta come una presenza benefica, un beneficio rispetto agli altri compagni di classe, mai come un limite o tantomeno una figura che lo sminuisse.

Forse è ancora piccolo per sentirsi insicuro a causa della presenza di un insegnante di sostegno, ma io per lui non potrei immaginare una giornata scolastica senza una figura di supporto. La figura di supporto che abbiamo incontrato quest’anno, poi, per me è stata tutto ciò che potessi desiderare.

Abbiamo vissuto mesi di transizione, cambiamento e adattamento. Settembre mi appariva come un grande punto interrogativo: nuova psicologa, nuova scuola, nuova insegnante di sostegno. Invece è andato tutto bene, con la psicologa, con la nuova routine e con la nuova insegnante di sostegno. Da un paio di mesi soffro di ansia per situazioni banali, ma so che è solo stanchezza per aver tenuto insieme tutti questi pezzi per così tanto tempo. So che passerà e mi rimetterò in sesto.

Mercoledì la scuola è finita e io non ho trattenuto la commozione. Quanto è difficile dire a una persona che le si vuole bene, che le si augura il meglio, che è stata importante per noi? Ma sono solo io o i sentimenti straripano dagli occhi di tutti? Come si fa a far sentire a qualcuno la propria gratitudine potendo usare solo le parole e magari qualche gesto?

Mi sono convinta che in fondo ci siano poche possibilità di far capire realmente a qualcuno ciò che abbiamo dentro. Penso anche che dare tutta questa importanza ai sentimenti che proviamo sia presuntuoso, perché poi – se ci pensate bene – cambierà così tanto agli altri sapere che noi proviamo questo o quello?

Cerco di uscire da questa ristretta prospettiva egocentrica.

Vorrei solo che questa mia gratitudine potesse trasformarsi in doni, doni per lei, tutto ciò che desidera, fiducia in se stessa, sicurezza, affetto da parte dei propri cari, affetto da parte dei propri alunni, oggi Alessandro, domani altri bambini che saranno altrettanto fortunati.

Io mi godo la fiducia ritrovata: nella scuola degli anni Duemila, che da adesso in poi per me non è più solo traumi e brutte esperienze; nella fortuna; nelle persone; in mio figlio, che resta sempre il guerriero più coraggioso, catalizzatore d’amore.

Signora, non è pronto per la scuola

No, non ce la faccio ad aspettare. Mi ero ripromessa di non scrivere neanche una parola su questo primo anno di scuola dell’infanzia finché non fosse iniziato il secondo presso il nuovo istituto, ma sono successe cose troppo importanti per non partire con il racconto.

Prima però vorrei spiegare, soprattutto a me stessa, il vero motivo per cui ho rotto solo oggi il silenzio stampa. Il fatto è che ho paura, una paura molto grande, quasi paralizzante, che qualcosa vada storto, di nuovo. Ho paura che non ci sia posto per Alessandro e i suoi comportamenti poco socievoli (per usare un eufemismo) nemmeno nella classe che lo accoglierà a settembre. Ho paura di sentire di nuovo l’ombra di quel giudizio addosso, quello che ci hanno proiettato addosso da settembre a giugno, e che non ha affatto aiutato nella nostra situazione, ma anzi ha peggiorato tutto. Il timore di non riuscire, l’ansia del fallimento (nostro, come genitori, e di Alessandro, come bambino) mi avevano indotto a rimandare a settembre, magari anche a ottobre, il momento del racconto dell’anno scolastico appena concluso. Volevo prima accertarmi che tutto filasse liscio, che il nuovo capitolo iniziasse senza intoppi. Poi però è arrivato il 24 giugno, due giorni alla fine della scuola, e ho capito che avevo bisogno di iniziare a sbrogliare la matassa. E inizierò proprio da lì, dalla fine, dal 24 giugno. Quando ho portato Alessandro in una scuola già quasi vuota, già molto calda, dove la sua maestra mi ha chiesto di fare una breve chiacchierata.

24 giugno

In tutti questi mesi, portare o prendere Alessandro a scuola ha rappresentato un problema. Sono entrata di solito con la testa bassa, per paura di essere riconosciuta dal genitore di qualche bambino morso dal mio (sì, perché Alessandro morde. Lui, che è capace di dire cose come “mamma sento il rombo di un motore in lontananza” o “non si intravede neppure l’ombra di un mostro all’orizzonte”, quando si arrabbia morde come il più primitivo degli uomini, con la bava alla bocca come un cane). Oppure per il timore del rimprovero delle maestre per qualche comportamento inappropriato di mio figlio, che in 9 mesi – mi è stato riferito con cura di particolari – ha lanciato, strappato, tirato, sporcato qualunque cosa. Da un po’ ha anche iniziato a non trattenere più i bisogni. Sì, sempre quel bambino che usa le metafore e che sa quasi leggere a 3 anni, se l’è fatta addosso ogni giorno per quasi 4 mesi. Non è stato cambiato dalle insegnanti o dalle bidelle neppure una volta, in 4 mesi. Non lo prevede il loro contratto, mi è stato spiegato.

Solo 4 giorni prima, il 20 giugno, la maestra mi ha contattato per raccomandarsi di lavorare sul “problema” nei mesi estivi. Ne ho approfittato per riferire che l’incidente – salvo rarissime eccezioni – si verifica solo a scuola, ed ha iniziato a presentarsi in particolare dopo che:

  1. Alessandro ha cominciato a passare la mattinata in una classe diversa dalla sua (un espediente usato per alleggerire la sua classe d’appartenenza e al tempo stesso per stimolare il bambino grazie al clima più sereno della classe ospitante)
  2. le bidelle si sono lamentate con lui di aver fatto uno schifo in bagno. Testuali parole (io ero presente): “Alessà, hai fatto davvero uno schifo”. Che per un bambino è come dire “la tua cacca fa schifo”, ovvero “tu fai schifo”.

La maestra mi ha ascoltata, ha anche mostrato imbarazzo davanti a queste mie osservazioni, ma la questione è finita lì, con me che prometto di lavorare sul “problema” a casa, d’estate.

Arriva il 24 giugno. Mancano due giorni alla fine della scuola. Negli ultimi 4 mesi le maestre non hanno mai avuto tempo di cambiare le mutande a mio figlio, ma una di loro ha trovato il tempo di scrivere una relazione alla dirigenza scolastica, un documento al quale io non avrò accesso se non – forse – dietro rilascio di una speciale autorizzazione da parte del preside. La maestra mi spiega che nel documento ha sottolineato i miglioramenti di Alessandro nel corso dell’anno scolastico. Gli episodi di aggressività sono diminuiti in maniera drastica, anche se occasionalmente si ripresentano. La capacità di concentrarsi sulle schede didattiche è aumentata e si dimostra più collaborativo. Al tempo stesso il bambino da segnali di insofferenza verso il tempo pieno, per cui si consiglia il tempo ridotto. Bene, sono sottolineature che reputo superflue a fine anno, ma mi importa poco. Quei concetti li ho sentiti e risentiti tutto l’anno, non so che senso abbia ribadirli a giugno, forse solo convincerci finalmente a metterlo in una classe a tempo ridotto, ma sono ormai vaccinata a quel genere di pressing psicologico. Ed invece è a questo punto che arriva la doccia fredda. La maestra prosegue: “E poi sa, signora, ho dovuto scrivere nella relazione che Alessandro non ha il controllo sfinterico.”

Non ci credo, sta usando quella scusa, proprio quella.

Provo a controbattere: “Maestra, deve essere qualcosa che è successo a scuola, forse una protesta, perché accade solo qui e poi da quando le bidelle…”

“Signora, non è mica detto che dipenda dalla scuola. Voglio dire che ne ho viste tante di storie simili che non dipendono dalla scuola, magari hanno origine in qualcosa che è successo prima, e poi Alessandro ha sempre avuto questo problema, no?”

Si sta riferendo ad una storia che le ho raccontato io, al fatto che togliergli il pannolino sia stato più difficile del previsto. Ma quando aveva due anni.

“Comunque, signora, senza controllo sfinterico – glielo devo dire per correttezza – in teoria non si potrebbe frequentare la scuola…”

Ho capito dove vuole andare a parare.

“Quindi, maestra, a settembre non verrà ammesso?”

“No, questo non lo so, però in teoria… Comunque voi lavorate sul ‘problema’ tutta l’estate e poi si vedrà. Signora, sono tutti segnali che ci dicono una cosa sola: Alessandro non è pronto per la scuola. Io questo glielo dico sempre per il bene del bambino, non mi fraintenda”.

Vado via, lasciandolo lì. Forse davvero non è pronto per la scuola, ma io lo lascio lì.

Forse invece la scuola non è pronta per lui, ma io lo lascio lì.

Forse in quella scuola vedono un bambino diverso da quello che esiste realmente. Ma io lo lascio lì.

Perché non ho altra scelta.

11 luglio

Inizia finalmente il centro estivo, organizzato dalla scuola dove Alessandro andrà a settembre. Non è ancora la nuova vita che attendiamo con ansia, ma almeno lui ha la preziosa occasione di familiarizzare con quella che diventerà la sua seconda casa.

I primi 3 giorni sono perfetti, ma non avevo nessun dubbio: lui adora e si lascia distrarre dalle novità. Il problema è la routine, accettare le regole, la socialità condivisa. So già che tutto questo, in un contesto di libertà poco strutturato come quello di un centro estivo, sarà difficile da gestire per lui.

Il quarto giorno, la maestra mi riferisce che ha morso dei bambini. Il settimo mi chiede un piccolo colloquio.

Mi reco a scuola con la coda tra le gambe. Vivo di nuovo tutto il campionario delle emozioni negative, dalla vergogna alla frustrazione, fino alla rabbia verso mio figlio e la sua incapacità di sottostare a delle regole, di rispettare gli altri bambini. Fuori scuola, vedo dei genitori e sento i loro occhi addosso a me, come se già sapessero che sono la madre del bambino che fa casino, che crea problemi, che morde i loro figli.

Ma poi arriva la maestra, che sorride, mi dice con delicatezza che è successo qualcosa di spiacevole ma al tempo stesso mi parla di empatia, di condivisione, mi fa vedere mio figlio per quello che è. Più serena e finalmente messa su un piano di parità , le spiego che lui ha una forte insicurezza che lo porta ad aggredire quando si sente aggredito, anche se magari l’aggressione è solo nella sua testa. Mi ascolta con interesse, mi dice allora che proverà ad encomiarlo per le cose che fa bene piuttosto che demonizzarlo per quelle che sbaglia.

A me risuonano nella testa soprattutto queste parole: “da settembre lo indirizzeremo…”. Pronunciate con il sorriso, con la serenità di chi ha la situazione sotto controllo. C’è una strada. Mio figlio è aggressivo con tutti, ma c’è una strada.

Mio figlio morde, è vero, ma c’è una strada.

Mio figlio reagisce in maniera brutale quando non è perfettamente a suo agio. Ma c’è una strada.

Questa strada porta da casa a scuola, e poi da scuola a casa. Non è vero (almeno spero, ma lo scrivo soprattutto per scaramanzia) che non è pronto per la scuola.

Esiste una scuola che saprà adattarsi alle sue necessità e che al tempo stesso gli insegnerà ad adattarsi al mondo, perché è questo che fa la scuola, è soprattutto una scuola di vita.

Con tutti questi bei pensieri nella testa, me ne vado al lavoro. La sera forse scoprirò che Alessandro ha dato altri morsi, o trasgredito ad altre regole, ma questo non mi farà sentire perduta come madre o arrabbiata con lui. Mi farà solo vedere la situazione per quella che è realmente: noi tutti, noi genitori e lui bambino, siamo nel mezzo di un percorso che ci porterà, presto o tardi, a trasformare la sua aggressività in energia positiva.

Come è andata a finire la storia dell’incontinenza

Che ci crediate o no, Alessandro ha smesso di avere i suoi incidenti a scuola esattamente il 20 giugno, il giorno in cui la maestra mi ha contattato. Forse le ha voluto dimostrare che si sbagliava.

Che ci crediate o no, al centro estivo non ha avuto nessun problema con il bagno, nonostante ci passi ancora più ore che alla scuola dell’infanzia.

Forse è finita la sua protesta viscerale, quella con cui ha voluto dimostrare non tanto di non essere pronto per la scuola, ma di non voler avere più niente a che fare con quella scuola. Proprio quella, solo con quella spero (e continuo a scriverlo per scaramanzia, perché in fondo mancano ancora due mesi a settembre).