Come ho raccontato qui, Alessandro è nato prematuro. Al momento non sappiamo se sia davvero iperattivo (nel senso clinico del termine), quel che è certo è che si è sempre trattato di un bambino con una vivacità sopra le righe. O forse “vivacità” non è nemmeno il termine giusto, perché se è vero che lui ha davvero energia da vendere, ho conosciuto bambini ancora più esuberanti. Ciò che vedo in lui di eccezionale è l’intraprendenza con cui pianifica la fuga dagli steccati che gli vengono costruiti intorno.
Per uscire di metafora: è un ribelle.
Si ribella alle regole, all’autorità precostituita, ai ruoli, a qualsiasi cosa gli sembri creata solo per limitare le sue mosse, a meno che non capisca il senso della limitazione. Questo significa che Alessandro accetta i “no” solo se ne capisce il senso. Me lo disse anche l’educatrice del suo nido: “se gli dici di no, per lui è come se non parlassi. Bisogna invece dirgli perché è no, e se lui è in grado di capirlo, di solito smette.”
Che fatica, per noi, spiegare tutti i nostri no. Spiegare che la presa delle corrente non si tocca perché dentro c’è l’elettricità.
E che cos’è l’elettricità? È una cosa che accende le luci ma che ti può anche fare male. Perché fa male? Se non me lo spieghi bene, provo da solo a toccare così lo scopro. No, fermo, fa male perché è una scarica che ti attraversa. Ma allora fa solo il solletico? Provo subito! No, fermo, fa male perché è come uno schiaffo potentissimo che ti può anche far sbattere a terra…
Così, per ogni cosa, perché un “no” da solo, magari detto con voce dura, durissima, e sguardo di pietra, non ha mai funzionato, anzi ha sempre spinto Alessandro a fare proprio la cosa proibita. Di sicuro, questo bambino non ha mai avuto paura di niente.
Persino in incubatrice, dove è stato messo subito dopo la nascita, era l’unico neonato che si proiettava all’esterno infilando le braccia e le gambe negli oblò. Dovete immaginare questi prematuri come dei piccolissimi cuccioli con scarsissima capacità di movimento. Tutti tranne lui, che spalancava gli occhi guardandoti fisso e distendeva braccia e gambe per cercare la sua via di fuga. Le infermiere non ci potevano credere, ma succedeva davvero!
Ha sempre avuto una precocità impressionante nel movimento. Ha imparato a girarsi sulla pancia a meno di 3 mesi, ha gattonato speditamente a 6, ha fatto i primi passi a 10 e abbiamo fatto la prima lunga passeggiata senza passeggino a 12 mesi e 1 settimana.
Dargli le regole è stato un compito difficile, ma non impossibile. Certo, a 1 anno era impossibile, ma già a 2 era perfettamente in grado di ascoltare le nostre spiegazioni e, quindi, di assimilare le regole.
Da parte nostra, è stato importante capire che un frettoloso “No!” non ci portava a nulla, se non a frustrazione e senso di impotenza. Per quanto fossimo decisi, risoluti o arrabbiati, non bastava negare una cosa affinché l’avessimo vinta noi. Non bastava nemmeno la classica sculacciata, ed era inutile la punizione. Quante volte abbiamo annullato impegni, buttato giocattoli nella spazzatura o atteso per ore che la crisi isterica sfumasse da sola: è stato sempre tutto inutile. Alla fine diventava un braccio di ferro da cui uscivamo tutti sconfitti.
Era ciò che volevamo?
No, quello che volevamo era trovare un modo per educare nostro figlio, e il muro contro muro non ci stava portando da nessuna parte. So cosa state pensando: ma non è che forse siete solo dei genitori mollaccioni? No, credetemi, ho avuto giornate, settimane, interi mesi di muro contro muro, in cui ho ostinatamente tenuto il punto per una questione di principio, ma non mi hanno mai portato a niente.
Gli unici “no” che ascolta sono quelli che comprende. Questa è stata la chiave: una volta capito, abbiamo iniziato a gestire meglio anche le situazioni più critiche.
Perciò basta muro contro muro. Benvenuta dialettica. Benvenuti compromessi.
Ciò non significa che adesso rispetti sempre le regole. In alcuni momenti prevale l’istinto ribelle, o magari è solo stanco e non riesce proprio a obbedire. Con alcune persone, poi, non c’è verso di farlo stare buono. L’ambiente ostile che ha trovato alla scuola dell’infanzia (di cui parlerò in un altro post) lo ha portato ad esempio a non riconoscere l’autorità delle maestre.
Il problema è che lui l’autorità non la riconosce solo perché tale. Per lui contano di più autorevolezza ed empatia, e chi non capisce questa cosa non riesce a fare breccia. Voi direte: beh, lasciatelo cuocere nel suo brodo, prima o poi capirà chi comanda! Sì, ma il problema è che, dopo aver visto per mesi che lasciarlo cuocere non serviva a nulla se non a rovinare il clima in famiglia, ho voluto trovare una soluzione differente.
E questa soluzione oggi funziona, oggi riesco a gestire Alessandro, a volte anche a prevenire le sue mosse.
È un continuo patteggiamento, lo è sempre stato. Per strada non ha mai voluto dare la mano ad un adulto, così il compromesso è che la da solo se non si trova su un marciapiede. A tavola ha smesso di sopportare il seggiolone ben prima dei due anni, perciò gli abbiamo comprato una sedia da cui può scendere e salire in autonomia. E ne avrei di esempi, potrei continuare per ore.
Il succo del discorso è che un bambino ribelle non lo devi necessariamente domare, lo puoi anche conquistare. Responsabilizzare. Capire. Forse continuerà a farti impazzire, ma ci sarà il giorno in cui si avvicinerà al passeggino del fratellino e gli tirerà su il tettuccio per proteggerlo da sole, e allora capirai che il percorso è difficile, tanto impegnativo, ma forse ti sta restituendo un bambino perfettamente consapevole delle sue azioni, per certi versi persino maturo.
Ne abbiamo fatta di strada da quelle prime fughe dall’incubatrice, chissà ancora quanta ne dovremo fare, ma sono sicura che pian piano troveremo il modo di insegnare ad Alessandro, così come a suo fratello, che ci sono alcuni limiti che non devono essere superati. Per il resto spero di riuscire a rispettare la sua indole ribelle, perché fa parte di lui e va amata anche quando rende tutto più complicato. Il mio piccolo, adorabile, rivoluzionario.