Il tic che ti sbatte la realtà in faccia

Da agosto Alessandro ha dei tic. Sono tic sia motori che verbali, anche un po’ comici, in realtà. Fa degli scatti con il torace e con le braccia ed esclama “tenk”.

Questi tic sono partiti in sordina, poi si sono amplificati moltissimo e sono quasi scomparsi. Dal giorno del prelievo sono ricomparsi in maniera evidente, che quasi non cessano mai finché Alessandro è sveglio.

Scompariranno di nuovo? Ci accompagneranno ancora per molto? Sono una sfaccettatura di Alessandro che finora non si era palesata e con cui dovremo imparare a convivere?

Mentre mi faccio tutte queste domande, e mentre cerco di scacciare dallo sfondo l’ombra inquietante della sindrome di Tourette, non posso non notare che anche i tic, questi cazzo di tic, mi hanno regalato qualcosa.

Credo per esempio che solo quando mi sono trovata davanti ai suoi tic io sia riuscita finalmente ad accettare che l’ADHD non è una parte di Alessandro da asportare, ma è Alessandro stesso, ovviamente con un problema da gestire, ma con cui al tempo stesso trovare un modus vivendi.

Mi spiego: nonostante i buoni propositi e tutta la buona volontà, i comportamenti di Alessandro finivano sempre in qualche modo per farmi infuriare, ovviamente con lui. Era come se, in fondo, io non riuscissi realmente a capire che alcuni suoi comportamenti non erano dettati dalla mancanza di impegno da parte sua o dal suo brutto carattere. Era come se la mia parte più infantile e istintiva si sentisse offesa o colpita, come se lui stesse facendo qualcosa a me di proposito al solo scopo di ferirmi. Per quanto ci ragionassi e mi dicessi che non era così, che alcuni comportamenti erano dettati dal funzionamento del suo cervello, che quelle crisi facevano male più a lui che a me, beh, io soffrivo più per me che per lui.

Poi un giorno questo ragazzino inizia a vibrare come un terreno percosso da un grosso elefante, nonché a emettere suoni insensati. Ed è allora che nel mio cuore – perché davvero non sto parlando di raziocinio ma semplicemente di cuore – scatta qualcosa.

Il tic mi ha mostrato con un’evidenza fisica, tangibile, che ci sono forze e movimenti interiori che non dipendono da alcuna volontà, che sono del tutto incontrollabili.

Il tic mi ha sbattuto in faccia la realtà.

Accettazione.

Sarei presuntuosa se dicessi che io oggi ho finalmente accettato, perché è così lunga e tortuosa e piena di passi falsi la strada dell’accettazione che forse non voglio nemmeno immaginare di essere arrivata alla meta: avrei troppa paura di illudermi e basta.

Ma di sicuro, da quando è arrivato il tic, la rabbia che provo si è quasi dissolta. Ritorna su ancora, ma ormai poco, solo in casi eccezionali e se ne va presto lasciando il posto al dispiacere, visto che ora so che dietro quegli occhi feroci e quelle mani che menano all’aria cercando di colpirmi c’è una volontà sopraffatta da forze più grandi, le stesse che caricano, caricano, caricano e infine sfociano in quel tic.

Poi c’è stata la cosa di mio padre. Mio padre che ha iniziato a vivere il suo ruolo di nonno soprattutto nell’ultimo anno, prima molto meno. E che per diverso tempo ha sminuito l’ADHD, anche se non ne ha mai parlato in questi termini, essendo lui un uomo molto discreto e rispettoso.

Eppure sapevo che non gli dava peso, come se fosse qualcosa di transitorio, o forse un eccesso di premura da parte di noi genitori verso quel figlio poco maturo ma molto intelligente che, prima o poi, avrebbe smesso da solo di dare problemi.

Ho visto mio padre trasformarsi completamente da quando Alessandro ha i tic. Levando per un secondo l’ansia (lo spettro della sindrome di Tourette sempre là sullo sfondo), ho visto maturare in lui un senso di protezione e accudimento, dettato dalla compassione verso il nipote. Compassione che prima non provava in questi termini semplicemente perché non vedeva lo svantaggio, non vedeva il deficit.

Il tic è la prova provata.

Lo schiaffo in faccia che ti porta giù quando te ne stai andando per massimi sistemi e ti fa capire che in ogni caso, per quanto tu stia male in questa situazione, non sei tu ad avere un problema ma quel bambino.

Ed è lì che ritrovi l’adulto che è in te, rinunci ad ascoltare la voce interiore che reclama attenzioni e che si sente ferita, mentre invece inizia a prevalere l’istinto di protezione verso colui che è meno fortunato di te.

Ecco, io penso che questo abbia fatto il tic: cadere ogni velo.

E Alessandro che ne pensa?

Non sappiamo se Ale sappia oppure no che ha un tic, non ne ha mai parlato se non una sera, prima di coricarsi.

“Mamma, potresti trovarmi un terapista ipnotico? Vorrei che mi levasse questa ossessione del tenk. Per favore, me lo cerchi tu, mamma?”.

Sono rimasta in silenzio, perché non volevo mentire, non volevo sottolineare, non volevo rivelare troppo e perché davvero non sapevo cosa dire per non fare danni.

Si è distratto e quel pensiero non è diventato per fortuna un pensiero ossessivo, anzi non ne ha parlato mai più.

In fretta, come fa qualsiasi altra cosa, ha chiuso gli occhi e si è addormentato. Almeno per quel giorno, il tic ha smesso di agitarlo.

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